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martedì 17 novembre 2009

Il paese dell' acqua ribelle:

Il paese dell' acqua ribelle:
Ci hanno messo un secolo a conquistarsela la loro acqua, e ora non la mollano neanche morti: L' alleanza del Biellese orientale è fatta da quelli che non hanno ceduto.
Il «no» di chi ha scelto un' altra strada, quella del privato no-profit, dell' autogestione:senza aiuti statali, ma fieramente indipendente, nella pienezza dello spirito di servizio pubblico.

BIELLA 15 novembre 2009
Ci hanno messo un secolo a conquistarsela la loro acqua, e ora non la mollano neanche morti. Non la mollano ai comuni
e nemmeno alle SPA comunali che la legge in discussione in parlamento obbligherebbe - caso unico in Europa - a diventare ancora più private, con inevitabile accorpamento dei servizi nelle mani di poche aziende. È il «no» di chi ha scelto un' altra strada, quella del privato no-profit, dell' autogestione sparagnina senza aiuti statali, ma fieramente indipendente, nella pienezza dello spirito di servizio pubblico. Sono cento piccole alleanze di paese che hanno tenuto duro, costruendo un arcipelago che ha il suo nucleo forte a est di Biella, sulle montagne ai piedi del Rosa dove Fra Dolcino consumò la sua ultima resistenza e dove - sempre attorno ai torrenti - nacque un secolo fa il più grande distretto italiano del tessile: l' Associazione dei consorzi delle "acque libere", una realtà-modello che governa centoventi sorgenti, cento chilometri di tubi, e serve cinquemila abitanti con tariffe tra le più basse d' Europa (mezzo euro al metro cubo) a fronte di una qualità eccellente. Gli hobbit della rete partigiana subalpina li trovi annidati nel labirinto morenico tra Biella e la Valsesia; le loro valli (e le loro acque) sono segnate da santuari - San Rocco, San Bernardo, Brughiera, Novarelia - nidi d' aquila da cui domini mezzo Nord. Nell' aria fina ecco l' Adamello,
l'Appennino, la piramide innevata del Monviso, la cupola di Superga e quella di San Gaudenzio a Novara oltre le risaie del Vercellese. Vista pazzesca, in questi giorni di sole dedicati a San Martino: luccicano i fiumi alpini come carta stagnola,
in discesa verso il Po che taglia la pianura sotto il Monferrato. «Ora ti faccio vedere come trattiamo l' acqua», fa Piero Tempia, sessantasette anni, piccolo bruno di razza alpina, e scende a saltelli in un bosco da Excalibur disseminato di ricci di castagne, tana sicura di tartufi. La sacra ampolla è in fondo a una valletta, chiusa a chiave, sigillata come in un tempio. Sei rubinetti,
uno per ciascuna delle fonti intorno. Una vasca di decantazione in acciaio, una di raccolta, una pompa che spinge in cima
al monte. Ci saliamo a piedi, la vista è immensa. Tempia sale quassù due volte alla settimana col suo mazzo di chiavi
a controllare. È il portinaio delle acque, pare San Pietro. Sottoi piedi, mimetizzata, una riserva da 150mila litri, sensori
di livello, depurazione a raggi Uva, il punto zero di distribuzione capillare su è giù per le colline. In principio fu Mezzana Montaldo, su un cocuzzolo dove l' acqua non arrivava. Fu un' alleanza di operai detta "Comunione" - istituita con atto notarile - che nel 1907 ebbe una fonte in regalo dal "comendatur" Garlanda in Comune di Triverio, e mise i soldi per
un acquedotto destinato ai "robinetti" della pubblica via. Un secolo dopo, il consorzio di Montaldo, frazione (introvabile
sulla carta) del Comune di Mezzana Mortigliengo, è all' avanguardia. È stato il primo nel Biellese ad abolire il cloro,
e ora governa con sapiente dosaggio quattordici piccole sorgenti, quindici chilometri di tubi dell' ultimo tipo, impianti
di depurazionea ultravioletti e un sistema di pronto intervento da fare invidia. Il segreto: utenti e gestori sono la stessa cosa.
Se c' è un guasto, la segnalazione è fulminea, e la riparazione altrettanto. Su prestazione gratuita e volontaria.
Bisogna arrendersi: qui pubblico e libero non sono affatto la stessa cosa. «C' è molto più pubblico in un consorzio privato
di quanto si creda», osserva al telefono Simone Ubertino Rosso, ventiquattrenne di Montaldo, che studia scienze politiche
in Cina. Era segretario del consorzio già a diciotto anni e oggi, da ottomila chilometri di distanza, segue ancora con passione
i destini della sua acqua "ribelle". Segno che i vecchi di quassù hanno qualcuno cui passare la mano. Nella vicina Valle Cervo, che ha ceduto alle SPA, vivono male lo scippo delle fonti. «Quelli di Biella salgono quassù a spiegarci cos' è l' acqua, ci dicono che ci sarà la grande sete futura... ma qui piscia dappertutto... gli unici a morir di sete sono gli ubriaconi in bolletta...», ride
la battagliera Chiara Fiorina che ha una locanda sulla strada a Quittengo. Dice un avventore, spalmando toma all' aglio sul pane: «La fregatura si chiama ATO, autorità territoriale ottimale. Sta tutta nella lettera O. Con quella te la mettono in quel posto», e giù un sorso di Barbera. Difatti, brontola la gente, non c' è niente di ottimale nella gestione delle grandi SPA.
«Hanno il peggio del pubblico e il peggio del privato. Debiti e alte tariffe». «In un anno il Cortar (società pubblica biellese)
ha fatto un milione di debiti», ghigna il sindaco di Mezzana, Alfio Serafia del Pdl. Per ripianare, si è giocato sulle bollette,
ed è chiaro che «così i bilanci si fanno in quattro e quattr' otto». Carletto Bellini di Trivero: «Loro sprecano e si beccano
i contributi. Noi risparmiamo e ci becchiamo calci nei denti». Nel Biellese non ci sono castelli, il feudalesimo non ha mai attecchito e per mille anni la cosa pubblica è stata governata dal concilio dei "fuochi", un primogenito a famiglia,
e per dirimere le liti tribali c' era l' Ammano, un difensore civico ante-litteram. In un mondo così, destra e sinistra sono concetti astratti. Ciò che conta è «il problema». In Valle Cervo, per esempio, il problema è che, da quando i grandi hanno mangiato i piccoli, l' acqua costa più di prima. «A noi- obiettano- ci tocca pagare la depurazione delle acque più sporche
della città di Biella». L' eterna storia del lupo che si mangia l' agnello. «Non voglio che le cose cambino», dice Giancarla,
di Montaldo, a dire che qui la resistenza si fa richiamandosi all' antico. «Non si può sbattere un bene universale in un mondo dove o sfrutti o sei sfruttato», ti dicono, «perché l' acqua alla fine si vendica». Da quando sono arrivate le SPA, quasi nessuno pulisce i canali di scolo, le radici degli alberi si infilano "a coda di topo" nelle tubazioni e l' acqua s' intorbida. Le grandi piogge fanno sfracelli: l' ultima ha scoperchiato le tombe di Campiglia, le ossa dei morti sono arrivate alla scuola e
«i bambini nell' intervallo ci han pure giocato», scherzano ma non troppo i biellesi. Quassù tutti gli schemi saltano.
Non è pubblico contro privato, ma oculatezza contro sperpero, piccolo contro grande, responsabilità contro burocrazia,
olio di gomito contro finanza, difesa dei territori contro grande distribuzione. È la resistenza a un centro lontano e indifferente, spalleggiato in periferia da Asl che consentono alle grandi SPA magari di mettere in rete acqua all' arsenico, ma bastonano i piccoli acquedotti virtuosi con sadiche prescrizioni. A Cossato, dove la Strona esce verso le risaie dei «ranàt» (termine derisorio per quelli stanno dabbasso), quando gli parli di acqua potabile non pensano mica a quella comunale. L' acqua vera è solo quella dei montanari. È la buona rete che, come un sistema linfatico parallelo, comincia a scorrere già in periferia,
nella frazione di Ronco in Val Strona. E difatti è lassù che va la gente a fare scorta. Vengano a vedere, i parlamentari
che vogliono spingere le acque plurali d' Italia in un unico pentolone. La processione dalla Padania inquinata comincia ogni sabato, con le taniche, a caccia di sorgenti. Attorno alla fontana di Lora in comune di Trivero, che spilla H2O doc, pulita
con raggi ultravioletti, nei weekend si fa a gomitate per riempire le bottiglie. C' è qualche matto che viene fin da Milano
con la station wagon piena di cassette e giura che gli conviene. E gli altri? Quelli che non conoscono le acque libere, che fanno? Nemmeno loro bevono l' acqua del sindaco che sa di piscina. Quelli corrono nei mercatoni a comprare acqua prigioniera,
poi tornano gobbi con dieci chili di confezione sotto plastica per ciascuna mano, a tenere alto l' italianissimo record mondiale di consumo di minerale, 172 litri-anno pro capite.E lì il cerchio della nostra anomalia, quella dell' unico stato europeo che obbliga a privatizzare, si chiude alla perfezione. Come un teorema.

Funzionava bene o male l' acqua pubblica prima che la legge Ronchi negli anni '90 la spingesse verso il pentolone delle SPA.
Da quel momento le Asl e le burocrazie si sono accanite sui piccoli comuni, finché la loro vita è diventata impossibile.

Per questo, per evitare grane, molte acque libere son passate di mano. E molti consorzi, massacrati di divieti, per paura
hanno calato le brache e ceduto gratis i loro impianti-modello. Risultato: colpo mortale al territorio, alle autonomie,
alla democrazia di base. In parallelo, col nuovo regime SPA, s' è visto un crollo di investimenti sulle reti (scesi di due terzi
in quindici anni), e un parallelo aumento di tariffe. Il tutto, spesso, con perdite di bilancio, ovviamente ripianate del remissivo utente italiano o dallo Stato-Pantalone. Da domani potrebbe essere peggio: il controllo delle acque montanare passerebbe
a Milano, Bologna. O magari a Parigi, o in Australia, come è capitato alle acque inglesi, finite a un' unica azienda straniera.

L' alleanza del Biellese orientale è fatta da quelli che non hanno ceduto: trentadue consorzi uniti per fare massa critica
e resistere alle pressioni. « Ma alura, quand' è che vai a pulire le vaschette », brontola un signore di Vallemosso, vedendo passare il presidente del suo consorzio. «Vede?», dice Giovanni Pizzato, «mi stanno alle costole. Questa è la nostra forza.
È il segno che mi avvertono appena qualcosa non va. Sette anni fa l' acqua era calata di colpo, così siamo corsi su e abbiamo cambiato cinquecento metri di tubo in due giorni. Potevamo fare un rattoppo, invece no. Noi non lasciamo buchi, nemmeno nel bilancio». Poco a monte di Mortigliengo è venuto giù un pezzo di strada provinciale, mangiata dall' acqua per via delle cunette che nessuno pulisce. Il crollo ha messo a nudo il tubo del metano, ma la Provincia non ha un euro per intervenire, così la ferita si allarga. Ecco come l' incuria uccide i territori. «L' Italia - dice Piero Tempia - è il Paese delle inaugurazioni.
Si tagliano i nastri, vengono le tv, poi tutto finisce lì. Manutenzione zero». Succede con le strade: figurarsi con l' acqua, che non si vede.

domenica 18 gennaio 2009

venerdì 8 agosto 2008

italia: emergenza nazionale

Emergenza nazionaleMer, 30/07/2008 - 18:28

Riprendendo le parole del governo italiano, in Italia è davvero emergenza nazionale.Ma l'emergenza non sono i morti sul lavoro, la precarietà e i contratti nazionali scaduti, l'indebolimento dei salari, il diritto alla casa, il razzismo, il carovita, i morti nel canale di Sicilia di chi tenta di arrivare in Italia, gli inutili soldati nelle strade, l'abbattimento del welfare e della sanità, la monnezza, NO.
Iniziative

domenica 20 luglio 2008

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